
Ci sono un po’ di cose, quantomeno difficili, da credere nel primo Oro nel Canottaggio alle Olimpiadi per la Grecia. Innanzitutto che sia il primo assoluto, anche contando i Giochi Antichi. Si svolgevano a Olimpia, tra i monti del Peloponneso settentrionale, lontano dal mare, ma accanto al fiume Alfeo. Possibile che non gli sia mai venuto in mente di far entrare gli sport acquatici nel programma dei Giochi? Forse Ercole, il semidio che li ha fondati, e che era stato anche rematore sulla mitica Argo, che di fatiche immani se ne intendeva, voleva risparmiare agli umani l’ammirazione per una disciplina tanto nobile quanto probante. Lo si può vedere su come sussulta lo scarno ma muscoloso Stefanos Ntouskos negli ultimi 1000 metri del singolo a Tokyo. Quelli sì veramente incredibili, tanto da far sembrare a confronto le vicende del figlio di Zeus delle bazzecole giusto degne di una parodia della Disney.
Ntouskos,24 anni, è quarto e non sembra poter realmente competere con il più quotato terzetto di testa. Verso i 750 metri comincia però ad acquisire un ritmo forsennato ma regolare. Sembra una fiammata giusto per sprizzare scintille, quindi un eroico tentativo di spendersi tutto sull’altare a 5 Cerchi prima che le sue speranze siano destinate ad andare in fumo. Bruciato per aver osato troppo come Icaro e aver osato rasentare il Sole. Invece vola sulle acque. Non cede di un palmo, anzi conquista sempre più terreno. Non allenta un istante la remata. Sembra una mitragliatrice in azione: un movimento meccanico e perfettamente oliato, eppure rapidissimo. La sensazione è che ogni volta che “sgancia” un colpo, a volare non sia un proiettile, ma lui stesso, di una decina di metri sulle acque. E gli avversari se ne stanno alla larga da un tal insospettabilmente pericoloso concentrato di agili muscoli e determinazione di ferro.
Non faceva paura all’inizio. Già si era conquistato le semifinali da outsider. Il suo percorso verso quello che è più di una semplice vittoria inaspettata, ma un vero e proprio trionfo, comincia però da così distante che non c’è da stupirsi che praticamente nessuno lo abbia visto arrivare. Da Rio e da cinque anni prima. Quando era ancora finalista, ma come peso leggero, nel 4 senza. Ha lavorato durissimo nell’ombra e adesso ha afferrato il Sole, per sé e per tutta l’Ellade. E quindi le braccia verso il cielo, azzurro e bianco come i colori della madre patria: «Mi sento perfetto. Mi sento veramente bene. Sono eccitato. Non ho parole. Sono felice. Sono veramente orgoglioso di mè stesso. Significa molto. È stata una gara davvero difficile. Cercavo di mantenere il contatto con i miei avversari. Sapevo che erano tosti. Sono contento di aver avuto la grande gara con loro perché so che sono i migliori al mondo».

Sull’exploit che lo consacra alla leggenda, spiega: «Ero terzo ai 750 metri, c’è stata una variazione per tenere fronte ai colpi. Ho cambiato il mio ritmo e la potenza, e mi sono trovato in testa. Volevo la medaglia d’oro così tanto che ho continuato ad andare e ad andare. Chi ha la forma migliore e la mentalità per andare continuare ad andare è il più tosto di tutti».
C’è un bel po’ di Italia in questo straordinario successo. L’orgoglio tricolore del caso è l’allenatore di Ntouskos, il napoletano Gianni Postiglione. Probabilmente l’unico che avrebbe invece scommesso sull’alloro Olimpico per il suo gioiello e che non ne è rimasto stupito. Con Stefanos, Gianni ha intensamente lavorato per trasformarlo non in Senior ma in colosso dopo esser partito da Peso Leggero. Lo ha forgiato come già aveva fatto con altri, tanti canottieri, molti italiani, in quasi 50 dei suoi primi 70 anni di vita.
Federico Burlando