
Senza Mahe Drysdale, senza Eric Murray e con Hamish Bond che negli ultimi mesi posteggia la sua bicicletta, stacca i remi dal chiodo e si cala in una nuova mentalità, da alieno a uomo squadra, al servizio dell’Ammiraglia kiwi. Tre ori e due argenti, il vertice del medagliere per una Nuova Zelanda inedita: vince nell’otto quasi 50 anni dopo (Monaco 1972) l’ultima volta ed è l’unico podio maschile, adeguatamente controbilanciate dal settore femminile che vede Emma Twigg e il 2 senza esercitare la propria supremazia, il 4 di coppia e l’otto femminile conquistare la piazza d’onore. Cinque medaglie, 3 ori e 2 argenti, per un totale di 25 atleti medagliati. La migliore Olimpiade.
Un gradino sotto, i cugini australiani: uomini e donne a specchio, un oro e un bronzo per entrambi i settori e, in totale, 4 medaglie. Rispetto a Rio, gli argenti diventano bronzi c’è un oro in più. Rispetto a Londra, una medaglia in meno ma in GBR no “gold medals”. Due ori sul filo, entrambi nel 4 senza. Uno dietro l’altro: 34 centesimi sulle donne olandesi, 37 sugli uomini rumeni.
E’ impressionante la crescita dell’Olanda, terza inquilina del medagliere. Dal singolo di bronzo di Londra, alle tre (una per colore) di Rio, alle cinque di Tokyo. Cinque che potevano esser anche sei senza l’inciampo del 4 di coppia femminile. A vincere, dopo il titolo mondiale 2019, è il quadruplo maschile ma l’orange team è competitivo su tutti i fronti dato che è presente in 8 finali. Le donne di Josy Verdonkshot non vincono alcun titolo olimpico ma salgono tre volte sul podio.
Come l’Olanda, anche la Romania cresce moltissimo. Vengono pienamente ripagati gli sforzi di Antonio Colamonici, giovane DT partenopeo. Una nazione assente dal medagliere londinese e capace di raccogliere solo un bronzo a Rio. A Tokyo stravince il doppio femminile e brillano anche gli argentati 2 e 4 senza maschili.
Ovviamente dell’Italia di Franco Cattaneo, sesta nel medagliere al pari della Cina di Redgrave, parliamo a parte ma con le sue 3 medaglie, un oro e due bronzi, è pienamente competitiva per il vertice. Tre medaglie e cinque finali. Numeri che avrebbero potuto più importanti, forse anche migliori delle Olimpiadi di Sidney 2000, se il dado lanciato nel Monopoli di Tokyo non ci avesse condotto a pescare diverse, amare, carte degli Imprevisti.
Diciotto nazioni sul podio a Tokyo, tre in meno rispetto a Rio de Janeiro. Una nazione in più, a Tokyo, a vincer l’oro (11 e non 10). Allora citiamo il doppio maschile della Francia, il 2 senza maschile dei fratelli Sinkovic (Croazia), il 4 di coppia femminile della Cina, l’otto femminile del Canada e, per tornare in Italia, l’ottimo lavoro condotto da Gianni Postiglione, con il singolista della Grecia che spodesta i colossi della specialità 5 anni dopo la finale nel 4 senza Pesi Leggeri, e da Antonio Maurogiovanni (con i suoi collaboratori Giuseppe De Vita e Ciro Prisco), per le due medaglie (oro nel doppio Pesi Leggeri) della sua Irlanda.
E infine le grandi sconfitte. La Gran Bretagna, prima di tutto, impegnata in un pesantissimo regolamento dei conti e in crisi sotto ogni punto di vista: strutturale e tecnico, in primis, con la mannaia di UK Sport pronta ad abbattersi sui contributi economici per la preparazione delle Olimpiadi di Parigi. Dalle nove medaglie di Londra, alle cinque di Rio al drammatico quattordicesimo posto di Tokyo con l’argento del 4 di coppia e il bronzo dell’otto maschile. Poco meglio la Germania, con 2 argenti. Spariscono gli Stati Uniti e, con loro, la cultura dei College e della barca lunga con gli infelici quarti posti delle Ammiraglie, tra cui l’annunciata, per quanto rumorosissima, “caduta delle dee”. L’otto femminile, oro olimpico a Pechino, Londra e Rio e questa volta rimasto ai piedi del podio. Non solo “zeru tituli” ma pure zero medaglie.