Per la prima volta nella storia delle Olimpiadi, nessun equipaggio statunitense è tornato a casa con una medaglia al collo. Gli Stati Uniti hanno vinto medaglie in ogni regata olimpica, ad eccezione del 1908 e del 1980, quando la nazione non ha gareggiato, sin dall’inizio ai Giochi nel 1900.
Tutte e nove le barche non sono riuscite a raggiungere il podio, con cinque equipaggi che si sono piazzate nella finale A: l’otto femminile, l’otto maschile, il doppio leggero femminile, il doppio femminile e il 4 senza maschile. I migliori risultati sono stati i quarti posti delle Ammiraglie.
“Come organizzazione, abbiamo già avviato il processo di revisione dei programmi della nostra squadra nazionale, che includeranno feedback e analisi da questi Giochi Olimpici” ha dichiarato il direttore statunitense High Performance Matt Imes che ha declinato una richiesta di intervista di Usa Today. “USRowing si impegna ad apportare le modifiche necessarie per fornire ai nostri atleti la migliore struttura e ambiente possibili per raggiungere il successo a Parigi 2024 e oltre”.
“Non credo che ci sia nulla che avrebbe cambiato lo sforzo che abbiamo messo là fuori”, ha detto la tre volte olimpionica (2008, 2012, 2016) negli otto donne Meghan Musnicki. “La spinta che abbiamo messo, quanto duramente ci siamo allenati negli ultimi cinque anni… Ma immagino di no. Non credo che ci sia qualcosa che avrebbe cambiato le cose. Tutte e nove abbiamo messo tutto in gioco oggi e sono molto orgoglioso di questo”.
Ci sono un po’ di cose, quantomeno difficili, da credere nel primo Oro nel Canottaggio alle Olimpiadi per la Grecia. Innanzitutto che sia il primo assoluto, anche contando i Giochi Antichi. Si svolgevano a Olimpia, tra i monti del Peloponneso settentrionale, lontano dal mare, ma accanto al fiume Alfeo. Possibile che non gli sia mai venuto in mente di far entrare gli sport acquatici nel programma dei Giochi? Forse Ercole, il semidio che li ha fondati, e che era stato anche rematore sulla mitica Argo, che di fatiche immani se ne intendeva, voleva risparmiare agli umani l’ammirazione per una disciplina tanto nobile quanto probante. Lo si può vedere su come sussulta lo scarno ma muscoloso Stefanos Ntouskos negli ultimi 1000 metri del singolo a Tokyo. Quelli sì veramente incredibili, tanto da far sembrare a confronto le vicende del figlio di Zeus delle bazzecole giusto degne di una parodia della Disney.
Ntouskos,24 anni, è quarto e non sembra poter realmente competere con il più quotato terzetto di testa. Verso i 750 metri comincia però ad acquisire un ritmo forsennato ma regolare. Sembra una fiammata giusto per sprizzare scintille, quindi un eroico tentativo di spendersi tutto sull’altare a 5 Cerchi prima che le sue speranze siano destinate ad andare in fumo. Bruciato per aver osato troppo come Icaro e aver osato rasentare il Sole. Invece vola sulle acque. Non cede di un palmo, anzi conquista sempre più terreno. Non allenta un istante la remata. Sembra una mitragliatrice in azione: un movimento meccanico e perfettamente oliato, eppure rapidissimo. La sensazione è che ogni volta che “sgancia” un colpo, a volare non sia un proiettile, ma lui stesso, di una decina di metri sulle acque. E gli avversari se ne stanno alla larga da un tal insospettabilmente pericoloso concentrato di agili muscoli e determinazione di ferro.
Non faceva paura all’inizio. Già si era conquistato le semifinali da outsider. Il suo percorso verso quello che è più di una semplice vittoria inaspettata, ma un vero e proprio trionfo, comincia però da così distante che non c’è da stupirsi che praticamente nessuno lo abbia visto arrivare. Da Rio e da cinque anni prima. Quando era ancora finalista, ma come peso leggero, nel 4 senza. Ha lavorato durissimo nell’ombra e adesso ha afferrato il Sole, per sé e per tutta l’Ellade. E quindi le braccia verso il cielo, azzurro e bianco come i colori della madre patria: «Mi sento perfetto. Mi sento veramente bene. Sono eccitato. Non ho parole. Sono felice. Sono veramente orgoglioso di mè stesso. Significa molto. È stata una gara davvero difficile. Cercavo di mantenere il contatto con i miei avversari. Sapevo che erano tosti. Sono contento di aver avuto la grande gara con loro perché so che sono i migliori al mondo».
Sull’exploit che lo consacra alla leggenda, spiega: «Ero terzo ai 750 metri, c’è stata una variazione per tenere fronte ai colpi. Ho cambiato il mio ritmo e la potenza, e mi sono trovato in testa. Volevo la medaglia d’oro così tanto che ho continuato ad andare e ad andare. Chi ha la forma migliore e la mentalità per andare continuare ad andare è il più tosto di tutti».
C’è un bel po’ di Italia in questo straordinario successo. L’orgoglio tricolore del caso è l’allenatore di Ntouskos, il napoletano Gianni Postiglione. Probabilmente l’unico che avrebbe invece scommesso sull’alloro Olimpico per il suo gioiello e che non ne è rimasto stupito. Con Stefanos, Gianni ha intensamente lavorato per trasformarlo non in Senior ma in colosso dopo esser partito da Peso Leggero. Lo ha forgiato come già aveva fatto con altri, tanti canottieri, molti italiani, in quasi 50 dei suoi primi 70 anni di vita.
L’otto della Nuova Zelanda, qualificatosi a maggio a Lucerna e diventato campione olimpico a luglio a Tokyo
Senza Mahe Drysdale, senza Eric Murray e con Hamish Bond che negli ultimi mesi posteggia la sua bicicletta, stacca i remi dal chiodo e si cala in una nuova mentalità, da alieno a uomo squadra, al servizio dell’Ammiraglia kiwi. Tre ori e due argenti, il vertice del medagliere per una Nuova Zelanda inedita: vince nell’otto quasi 50 anni dopo (Monaco 1972) l’ultima volta ed è l’unico podio maschile, adeguatamente controbilanciate dal settore femminile che vede Emma Twigg e il 2 senza esercitare la propria supremazia, il 4 di coppia e l’otto femminile conquistare la piazza d’onore. Cinque medaglie, 3 ori e 2 argenti, per un totale di 25 atleti medagliati. La migliore Olimpiade.
Un gradino sotto, i cugini australiani: uomini e donne a specchio, un oro e un bronzo per entrambi i settori e, in totale, 4 medaglie. Rispetto a Rio, gli argenti diventano bronzi c’è un oro in più. Rispetto a Londra, una medaglia in meno ma in GBR no “gold medals”. Due ori sul filo, entrambi nel 4 senza. Uno dietro l’altro: 34 centesimi sulle donne olandesi, 37 sugli uomini rumeni.
E’ impressionante la crescita dell’Olanda, terza inquilina del medagliere. Dal singolo di bronzo di Londra, alle tre (una per colore) di Rio, alle cinque di Tokyo. Cinque che potevano esser anche sei senza l’inciampo del 4 di coppia femminile. A vincere, dopo il titolo mondiale 2019, è il quadruplo maschile ma l’orange team è competitivo su tutti i fronti dato che è presente in 8 finali. Le donne di Josy Verdonkshot non vincono alcun titolo olimpico ma salgono tre volte sul podio.
Come l’Olanda, anche la Romania cresce moltissimo. Vengono pienamente ripagati gli sforzi di Antonio Colamonici, giovane DT partenopeo. Una nazione assente dal medagliere londinese e capace di raccogliere solo un bronzo a Rio. A Tokyo stravince il doppio femminile e brillano anche gli argentati 2 e 4 senza maschili.
Ovviamente dell’Italia di Franco Cattaneo, sesta nel medagliere al pari della Cina di Redgrave, parliamo a parte ma con le sue 3 medaglie, un oro e due bronzi, è pienamente competitiva per il vertice. Tre medaglie e cinque finali. Numeri che avrebbero potuto più importanti, forse anche migliori delle Olimpiadi di Sidney 2000, se il dado lanciato nel Monopoli di Tokyo non ci avesse condotto a pescare diverse, amare, carte degli Imprevisti.
Diciotto nazioni sul podio a Tokyo, tre in meno rispetto a Rio de Janeiro. Una nazione in più, a Tokyo, a vincer l’oro (11 e non 10). Allora citiamo il doppio maschile della Francia, il 2 senza maschile dei fratelli Sinkovic (Croazia), il 4 di coppia femminile della Cina, l’otto femminile del Canada e, per tornare in Italia, l’ottimo lavoro condotto da Gianni Postiglione, con il singolista della Grecia che spodesta i colossi della specialità 5 anni dopo la finale nel 4 senza Pesi Leggeri, e da Antonio Maurogiovanni (con i suoi collaboratori Giuseppe De Vita e Ciro Prisco), per le due medaglie (oro nel doppio Pesi Leggeri) della sua Irlanda.
E infine le grandi sconfitte. La Gran Bretagna, prima di tutto, impegnata in un pesantissimo regolamento dei conti e in crisi sotto ogni punto di vista: strutturale e tecnico, in primis, con la mannaia di UK Sport pronta ad abbattersi sui contributi economici per la preparazione delle Olimpiadi di Parigi. Dalle nove medaglie di Londra, alle cinque di Rio al drammatico quattordicesimo posto di Tokyo con l’argento del 4 di coppia e il bronzo dell’otto maschile. Poco meglio la Germania, con 2 argenti. Spariscono gli Stati Uniti e, con loro, la cultura dei College e della barca lunga con gli infelici quarti posti delle Ammiraglie, tra cui l’annunciata, per quanto rumorosissima, “caduta delle dee”. L’otto femminile, oro olimpico a Pechino, Londra e Rio e questa volta rimasto ai piedi del podio. Non solo “zeru tituli” ma pure zero medaglie.
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