In Italia di fatto sono solo i calciatori, negli Stati Uniti la categoria si allarga ai giocatori di basket, football e baseball. Sussistono tante dovute eccezioni, ma alla fine sono solo loro che possono arricchirsi (non semplicemente vivere, per quello ci sono i gruppi sportivi statali) attraverso la disciplina amata. Sono moltissimi gli atleti di primo piano a livello mondiale che devono sudare sul campo per il loro sport e fuori da esso per guadagnarsi il pane.
Purtroppo è inevitabile quando ci sono solo le Olimpiadi a porti sotti i riflettori, e per quanto siano acclamate restano uno spazio troppo piccolo per raccontare i sacrifici che hanno portato sino a lì. Certamente la costanza negli allenamenti, ma anche la forza di allenarsi ogni mattina prestissimo per essere al lavoro in tempo. La forza di essere persone normali che “devono” lottare per andare alle Olimpiadi.
Il CoronaVirus, per queste persone, è stata l’ennesima pesantissima prova: allungare di un anno quest’esercizio di equilibrio, il più logorante, e posticipare di un anno progetti di vita magari già a lungo rimandati. In tanti hanno dovuto anteporre la loro vita alla loro passione, presumibilmente spesso le esigenze dei loro cari a un sogno a cinque cerchi.
Il canottaggio è uno di quegli sport che non godono dei favori del vil denaro, ed ha richiesto tale odioso obolo all’intera squadra maschile Usa. Nessuno si è tirato indietro. Tutti hanno dato quello che hanno potuto.
Professionisti qualificati e ben retribuiti, come consulenti, medici e ricercatori sull’altare Olimpico hanno di fatto deposto un anno delle loro vite oltre a tutto quello che vi avevano già sacrificato.
Tom Peszek si è addirittura spinto oltre ancora: doveva sposarsi e metter su famiglia, lo ha fatto comunque ma ha completamente cambiato la pianificazione delle sue nozze. Avrebbe dovuto celebrare in grande, si è concesso giusto una piccola cerimonia il 19 settembre con una ventina dei famigliari più stretti in una boat house a San Diego e poi di nuovo a remare. 36 anni appena compiuti, probabilmente sarà il canottiere più anziano di sempre ai Giochi. Un po’ come il suo allenatore, Mike Teti, che a 36 remò anche a Barcellona 1992 dopo aver vinto il bronzo a Seul nel ’88.
«Avrebbe dovuto essere una grande e divertente festa, subito dopo l’Olimpiade, (auspicabilmente) anche per avercela fatta a disputarla, è stato tutto diverso, ma alla fine è stato comunque un’esplosione di gioia»
Quasi sicuramente sarà della spedizione in Giappone, anche se, superstizioso, preferisce non darlo per certo. Oltre a Teti supererebbe di appena un mese il primatista Bob Kaehler.
Nell’agosto 2018 Peszek si è professionalmente spostato da Austin alla Baia di San Francisco apposta per potersi meglio allenare, dipendente del reparto IT della Kaiser Permanente: «Allenamento alle 6 del mattino, lavoro, allenamento alle 5 del pomeriggio, ripetere ciclicamente con qualche variazione che ti fa allenare per delle giornate intere, ma c’è una specie di piacevole bilancio in tutto ciò, il lavoro diventa una fuga dal canottaggio e il canottaggio dal lavoro, l’uno mi ricarica le energie per l’altro».
Appena un lustro più giovane Alex Karwoski che a suo stesso dire «A remare oltre i 30 anni non ci sarei dovuto arrivare»
Lavora per la Play Well Technologies, un’azienda del Tech di Marin County, California, che progetta programmi d’ingegneria civile e ambientale per il doposcuola dei ragazzi dall’Asilo alla terza media. Ha calcolato che il posticipo di un anno verrà per costargli 25.000$, e questo nonostante gli atleti ricevano 1300$ al mese di sovvenzioni e abbiano il vitto e l’alloggio pagati duranti i periodi di allenamenti. Tra l’altro lo scorso ottobre ha contratto il Covid nonostante tutte le cautele: è bastata una serata fuori di troppo con un vecchio amico nel Wyoming, nonostante avesse utilizzato la mascherina, sanificato le mani col proprio igienizzante e portato da casa il cibo da consumare. Da lì ha finito per contagiare ben tre compagni di squadra.
È uno dei motivi per cui gli atleti svolgono gli allenamenti ben distanziati tra loro, a meno che non siano costretti a remare a coppie o in gruppi più numerosi. Un ulteriore sacrificio. Ma Karwoski dichiara seccamente che «Ne vale la pena».
In squadra ci sono anche un avvocato paralegale, un analista d’investimenti, il consulente di un’azienda di management conosciuta in tutto il mondo e un altro per un’azienda immobiliare che opera anch’essa su scala globale. Tutta gente che continua a immolare molto più del dovuto per la sua passione a cinque cerchi. Resta però significativo che abbiano raggiunto tali vette anche al di fuori della carriera sportiva.
«Lo dico a tutti», dice Teti, «è il gruppo col più alto IQ che abbia mai avuto. Sono talentuosi e hanno potenziale ma sono anche della vecchia scuola. Vanno a lavorare tutti i giorni»; lui sa cosa significhi, essendo non solo stato un canottiere di livello ma sposato a un’altra olimpica della disciplina, Kay Worthington, medaglia d’oro per il Canada nel Crew. «Questi sono gli sport amatoriale. Li cerchi per divertirti».
Con il contributo di Federico Burlando