Volutamente, in questi giorni, non ho affrontato il tema della maxi-squalifica comminata dal Tribunale Nazionale Anti-Doping a Niccolò Mornati. Trattare questa delicatissima materia è già difficile di suo, figurarsi in un caso come questo dove in mezzo non c’è soltanto un canottiere di successo ma anche una persona con cui, negli ultimi 10 anni, ho sempre avuto il piacere di confrontarmi apertamente, pure di scontrarmi energicamente su fatti in cui le nostre opinioni divergevano per poi riconciliarci in nome proprio della franchezza che ha caratterizzato il nostro rapporto.
Nel pieno rispetto che ho nei riguardi di chi segue questo blog quotidianamente, mi sembra però giusto discutere il tema, anche alla luce della ricostruzione della vicenda da parte di Niccolò, oggi presente sulle pagine della Gazzetta dello Sport.
Non voglio parlare di accanimento, né di capro espiatorio o vittima sacrificale per far vedere che la macchina Anti-Doping funziona alla perfezione. E’ vero che non conosciamo, nella loro interezza, i fatti, è vero che la fiducia riposta nella versione di Mornati potrebbe sbilanciare l’ago della bilancia dell’obiettività verso il “nostro” ma 4 anni di squalifica rappresentano, comunque, qualcosa di inaccettabile, incredibile e indigeribile. Non solo per lui ma anche per noi. Già, perché è sostanzialmente la stessa pena comminata, poco prima di Londra 2012, ad Alex Schwazer. La differenza tra il canottiere di Mandello del Lario e il marciatore altoatesino è, nonostante diversi quotidiani abbiano messo in parallelo questo due storie, abissale. A cominciare dalla sostanza dei fatti, le piccole (irrilevanti?) quantità di anastrozolo da una parte e l’EPO addirittura personalmente acquistato in Turchia dall’altra, e poi per proseguire con la diversità dei comportamenti prima del giudizio: il doloroso silenzio di Niccolò, le patetiche commediole di Schwazer.
Il generoso impegno ed il sudore che questo ragazzo, oggi uomo, ha profuso in ogni settore della sua vita, dallo sport al lavoro passando per gli studi, stonano decisamente con la presunta volontà di raggiungere il risultato attraverso una scorciatoia. L’orientamento personale è sempre sull’incidente involontario anche perché, ben conoscendone l’integrità e la forza morale, risulta impossibile anche pensare a un’eventuale debolezza. E’, per CanottaggioMania, sempre moralmente innocente. Restiamo orientati sulla linea dell’incidente.
Esiste, però, anche una questione riguardante il nostro mondo e qui, effettivamente, è possibile nutrire un dubbio. In questi giorni, Mornati ha ricevuto la solidarietà di moltissimi amici, parte dei quali canottieri. Pochi comunque, a mio avviso, in rapporto a quel che egli rappresenta ed ha rappresentato per il nostro Sport. Piuttosto eloquente il silenzio della nostra Federazione che nemmeno ha dato la notizia della sua squalifica. Allora ci chiediamo se è un caso oppure esiste un collegamento tra questi fatti e la dichiarazione rilasciata alla Gazzetta dello Sport, secondo cui, pur non facendo parte delle argomentazioni della Difesa, Niccolò non esclude il dolo della contaminazione dell’integratore perché “Fai i ritiri con 40 persone, lasci incustodite le tue cose per ore, ti allontani fisicamente dalla zona dell’albergo, in luoghi dove non ci sono telecamere. E viviamo in un ambiente molto competitivo”?
In conclusione, d’accordo, ora c’è il macigno, un’amara sentenza da rispettare, ma anche la possibilità di sollevarlo attraverso la leva dell’appello. Caro Niccolò, la tromba d’arrivo non è ancora suonata: siamo ai 1000 metri della gara più difficile della tua vita, quella della dignità personale, e speriamo tu possa alzare le braccia al cielo al termine delle boette rosse.