Sei vite in un libro. Quella dell’autore, Gian Piero Galeazzi, si incrocia con la storia di una famiglia, i tre fratelli Abbagnale ed il loro zio Giuseppe La Mura, e del timoniere Peppiniello Di Capua.
“E andiamo a vincere” è un racconto di 182 pagine che i maniaci del remo possono avidamente consumare anche nel giro di una notte. Un grande atto d’amore per il canottaggio. Gian Piero lucida la sua passione, sviluppatasi alla Canottieri Roma grazie a papà Rino e poi sfociata nelle vittorie ai Tricolori (in pochi vantano l’affermazione sia nel singolo sia nel doppio Senior) e nella conquista della maglia azzurra. Anche la sua storia professionale inizia ben presto a legarsi a remi e barche.

Cavallo di razza del giornalismo, Galeazzi si lancia in orbita insieme agli Abbagnale negli ultimi 500 metri delle gare più avvincenti, in particolare la stratosferica Seoul 1988 con la doppietta 2 con (Giuseppe e Carmine)-quattro di coppia (Agostino), sa rapire anche l’attenzione dei malati di tennis e realizzare scoop eccezionali, come ad esempio il Maradona-intervistatore nel giorno del primo scudetto del Napoli. Giornalista e Show-Man, perché nessuno, ahinoi soprattutto gli inguaribili critici con il nasino all’in su, dimentica i balletti di Bisteccone con Mara Venier.
Gian Piero e gli Abbagnale percorrono la stessa strada senza incontrarsi. Non esiste, infatti, una fotografia che li ritrae assieme e mai nessuno li vede, per esempio, festeggiare a un tavolo uno dei tanti successi. Eppure, scrive Galeazzi, “rimane fissa e forte l’immagine di un successo conquistato insieme”.

In parallelo ai ricordi del giornalista romano, c’è il racconto di La Mura con particolari, anche inediti, relativi a come il ‘due con’ si prepara per vincere sette Mondiali, due Olimpiadi (+ l’argento di Barcellona 1992). Il leone ruggente (Giuseppe), la pantera silenziosa (Carmine): due personaggi dal carattere profondamente diverso, uniti dalla grande predisposizione al lavoro e da una forza di volontà fuori dal comune. Un compito difficile per il loro parente-allenatore, perché sono continue le richieste di rassicurazione, da parte del maggiore dei fratelli, sulla bontà dei programmi e perché più volte il filo rischia di spezzarsi irrimediabilmente, soprattutto con la possibile uscita di scena di uno degli attori.
Ma c’è un collante speciale, sembra l’oggetto magico evocato da Propp nella morfologia della fiaba, a tenere tutto comunque insieme ed a far proseguire una storia già a rischio nel 1983, dopo Duisburg, quando il Dottore pensa di smettere di allenare gli Abbagnale perché “Il feeling che ci legava si è definitivamente rotto”.
Galeazzi riesce a tirar fuori particolari e confidenze davvero speciali. “Quando vidi gli Abbagnale tagliare il traguardo per primi, per scaricare la tensione (non riesco ancora a capacitarmi di averlo fatto!) mi esibii in una spericolata capriola, lì per terra. Cosa che non avevo mai fatto prima e che non avrei fatto mai più in seguito! Ma, come si dice, ero letteralmente impazzito di gioia”. E’ La Mura, dopo Lake Barrington 1990 E’ uno dei rari momenti in cui si abbandona alla felicità, in questa caso singolare e bizzarra (ma ci piace assai, DT…), perché nel libro si parla pochissimo del post-vittoria e l’attenzione va soprattutto ai mesi d’avvicinamento alle battaglie più importanti con un La Mura che, è proprio vero, prima che con il ‘due con’ appare duro con se stesso. In alcuni momenti, però, l’uomo di Pompei sa anche spingerti verso il cleenex, come a pagina 110 quando il nostro DT racconta di aver abbracciato Giuseppe con una “tristezza nel cuore infinita” per non avergli evitato la “tremenda disfatta” di Barcellona 1992.
Grazie, Gian Piero, per questo testamento sportivo, consigliabile soprattutto ai giovani, e per aver dato tutto te stesso per far decollare questo sport portandone le emozioni nelle case delle famiglie italiane.
Nelle principali librerie e sui campi di regata (anche domenica prossima a Varese) è possibile trovare “E andiamo a vincere”.