
E’ negli Stati Uniti da sette mesi, sta vivendo la più intensa, emozionante e formativa esperienza della sua vita. Ai remi e con i libri. Porta il nome di un celebre apostolo ma sappiamo che il nostro Pietro non rinnegherà mai. Parliamo della Nazionale. Né una, né due, né tre volte. Canti pure il gallo della discordia ma noi, pur se distanti oltre 7000 chilometri, siamo sereni. Dal Washington Rowing di Seattle, la “mecca del canottaggio americano”, il Conte Zileri sente forte la voglia di Italia.
Dopo il quarto posto a Linz, il Mondiale Under 23 “casalingo” (Varese 2014) si presenta come una nuova e grande occasione. Due e tre stagioni dopo i lirici successi con l’Ammiraglia Junior a Eton e Plovdiv. Avanti insieme a Elmo Carcano, i due sono amici per la pelle e sanno come sostenersi nei momenti difficili, esaltarsi nelle grandi sfide e, come vedrete anche in questa chiacchierata, divertirsi… alle feste! Anche se sotto stretto controllo. Oltre a illustrarci il suo nuovo sistema canottaggio-scuola, Pietro ci parla anche della vicinanza della famiglia e della Canottieri Firenze.

Conte, cosa ha il canottaggio americano che noi, qui, possiamo continuare a sognarci per molto tempo?
“In termini di mezzi, il canottaggio americano ha tanto di più rispetto a quello italiano. Io sto vivendo una realtà un po’ particolare, perché Washington Rowing è stata definita la Mecca del canottaggio americano dall’allenatore di Stanford, Craig Amerkhanian, per sottolineare quanto questa squadra sia importante a livello nazionale. Washington Rowing riceve circa 4 milioni di dollari all’anno solo in donazioni. Non sono abbastanza, considerando che la squadra di football ne guadagna 80 e ne distribuisce alcuni verso le varie squadre sportive dell’università. Chiaramente le possibilità sono quasi infinite. Ma oltre alla sala in cui veniamo seguiti e curati con la medicina e la tecnologia più avanzata, in Italia non mai visto un RowPerfect. Quest’ultimo è un remergometro che, collegato ad un corrispettivo computer, misura tutto ciò che si può misurare di una remata: velocità, grafici, potenza, picchi massimi e minimi, ecc. Ecco, noi in una delle palestre ne abbiamo 16 solo per la squadra maschile. Ultimamente lo stiamo usando molto per migliorare la nostra tecnica in barca, che sta diventando sempre più importante durante la stagione”.

Più difficile integrarsi nella squadra di canottaggio o seguire le lezioni in inglese?
“Integrarsi nella squadra non è stato facile. All’inizio c’è una certa distanza tra matricole e seniores. Non dico che ci siano fenomeni di nonnismo, ma i più grandi tengono molto a trasmettere una forte cultura di appartenenza alla squadra, e chiaramente fanno sempre in modo che i nuovi lo imparino bene. Adesso che hanno capito quanto ciascuno di noi è attaccato alla squadra, soprattutto a livello di comportamento, la distanza è un po’ diminuita e col tempo saremo sempre più pedine importanti per il gruppo”.
Ma Fabio Fognini in un College, dopo la “mattanza” di Montecarlo, ce lo vedresti bene? Scherzi a parte, testa e talento sono difficili da coniugare…
“Lo sport internazionale lo seguo anche da qui e si, ho visto quanto ha combinato Fognini a Montecarlo. Mi piace il carattere di Fabio, ma certe volte segue un po’ troppo l’istinto. È anche vero che ripensando alla scenata di Wimbledon 2013 mi viene solo da ridere, e non credo che una delle sue “mattanze” sia paragonabile a tante di quelle che si vedono nel mondo del calcio. Nel caso in cui un canottiere si rivolgesse con i modi usati da Fognini nei confronti di un avversario o un arbitro, verrebbero presi dei seri provvedimenti a riguardo. E’ altrettanto vero che nel canottaggio l’arbitro non influisce sull’andamento di una gara quanto, invece, accade in molti altri sport”.
Abbiamo letto, su Facebook, che tu ed Elmo (Guglielmo Carcano) avete disputato la prima gara. Come è andata?
“Bene, le impressioni sono positive. Abbiamo gareggiato contro la squadra Freshman della rinomata Brown University, famosa quest’anno per aver fatto il record alla Head of the Charles (Boston) lo scorso ottobre. Abbiamo vinto con 7 secondi di vantaggio col tempo di 5:41.27”.
E’ top secret o ci puoi raccontare la cosa più pazza che avete fatto?
“Marco, qui siamo controllati 24h al giorno 7 giorni su 7. Essendo parte della squadra e del gruppo sportivo, col fatto che stiamo cominciando a prendere la scuola sul serio, è davvero difficile combinare pazzie. Noi italiani siamo diversi, e lo sai bene pure tu. Posso raccontare cosa è accaduto una decina di giorni fa, senza troppo entrare nei dettagli. La festa organizzata per celebrare la vittoria su Stanford è finita a causa della presenza di sei pattuglie della polizia parcheggiate davanti alla casa dove ci siamo ritrovati. Ho solo un flash di tre poliziotti che entrano in casa puntando le loro torce in faccia alla gente e gridando di sgomberare la casa. Tutto è finito tutto per il meglio, però, e quindi mia madre non si deve preoccupare”.

Senti spesso la tua famiglia via Skype? Cosa ti dicono?
“Ci sentiamo circa un paio di volte a settimana. Siamo d’accordo che loro non mi chiamano mai perché sono molto impegnato tra allenamenti e studio. Sono io a chiamarli quando ho bisogno. Quando sento i miei fratelli, chiacchieriamo di quello che combiniamo in generale. Mia madre dice sempre che ho la faccia stanca e che dovrei prendere le vitamine (cuore di mamma n.d.r.) ma riesce comunque a darmi un grande supporto anche dall’altra parte del mondo e gliene sono molto grato. Mio padre, invece, è molto partecipe della mia vita sportiva. Vuole sempre sapere degli allenamenti, delle barche, dei tempi che facciamo, delle gare e quant’altro. Essere così distante da loro non è una bella sensazione, ma mi piace vedere anche solo un loro sorriso da dietro un computer”.
Tu e gli Stati Uniti. Hai intenzione di rimanere li solo per studiare oppure ti piacerebbe fermarti a lavorare li?
“La mia idea, per adesso, è di rimanere solo per il periodo universitario e, come dico sempre, bene come a casa non si sta da nessuna parte. Ed è proprio così. Spero di tornare a Firenze per stare vicino ai miei cari, per lavorare e, chissà, magari anche per continuare la mia carriera da vogatore”.
E sei in contatto anche con la Canottieri Firenze?
“Sono in contatto sia con il mio Gigione (Luigi De Lucia n.d.r.) che con i ragazzi della squadra. Li ho sentiti di recente dopo le gare del primo meeting nazionale e cerco sempre di essere partecipe, anche se a modo mio. Non vedo l’ora di tornare a giugno per mettermi a lavorare con il mio gruppo fiorentino come ho sempre fatto”.
CanottaggioMania, invece, non vede l’ora di vederti a luglio a Varese, ai Mondiali Under 23…
“Mi sto allenando con l’obiettivo di essere all’altezza della squadra azzurra e spero di essere preso in considerazione una volta che sarà tornato in Italia. Ho gareggiato l’anno scorso sul quattro senza sfiorando il podio: spero di aver l’opportunità di continuare questo progetto e magari di lavorarci un po’ di più rispetto all’anno passato”.
Caro Marco, ti volevo ringraziare, anche se un po’ in ritardo, per il bel articolo che hai scritto su Pietro. Tutto ciò è molto importante per mantenere viva la speranza di rientrare in nazionale per poi fare i mondiali under 23. Speriamo! Seguo costantemente il tuo sito e devo dire che è sempre molto interessante e aggiornato. Bravissimo. Spero di vederti presto sui campi di gara, forse il 13 giugno sarò a Piediluco. Un caro saluto e a presto Federico Zileri